Conseguenze dell’incompleta tenuta della cartella clinica

"L'imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente"

martedì 26 settembre 2017

Doctorsite

La Corte di Cassazione Civile nella Sentenza n. 6209 del 2016 ha affermato che: “ l'imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anziché per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile), traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all'esattezza del proprio adempimento”.

Tale orientamento è stato confermato ancora dalla stessa Corte di Cassazione Civile nella Sentenza n. 22639 del 2016 che ha affermato: “l’incompletezza e l’inesattezza della cartella clinica, che il medico ha l’obbligo di controllare configura un difetto di diligenza ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c. ed inesatto adempimento della corrispondente prestazione medica”.

Il caso giudiziario ha inizio quando due genitori agirono, in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore, per il risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni subite dalla figlia, in occasione del parto da cui erano esitate una tetraparesi e una grave insufficienza mentale causate da asfissia perinatale.

Essi avevano prospettato la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera per non aver prestato un'adeguata assistenza al parto e per non avere assicurato alla bambina un idoneo trattamento post-natale. La Corte di Appello aveva ritenuto che non potesse ascriversi a responsabilità dei sanitari la mancata effettuazione del tracciato cardiotocografico in luogo della mera auscultazione del battito cardiaco fetale in quanto il tracciato di controllo non avrebbe potuto rilevare la presenza dell'asfissia. Sempre i Giudici della Corte d’Appello avevano affermato che "la fase post-natale fu gestita con corretta predisposizione di diagnosi e terapie nel momento in cui si evidenziò il peggioramento della bambina", rilevando altresì che "il trasferimento al reparto di rianimazione fu disposto con tempistica ragionevole, né un suo anticipo avrebbe condotto a risultati terapeutici migliori".In conclusione, non poteva ravvisarsi "la sussistenza di nesso di causalità tra attività posta in essere dai sanitari e quanto ebbe a verificarsi in danno della neonata".
È noto che - secondo i princìpi che governano la responsabilità contrattuale - la struttura e i sanitari che siano convenuti in giudizio per ipotesi di malpractice sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova non può che ricadere a loro carico. È noto, inoltre, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente.

Tali principi assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati ad operare non soltanto ai fini della valutazione della condotta del sanitario per l'accertamento della colpa, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente.

Pertanto, deve ritenersi, sostengono i Giudici della Cassazione, che la Corte di Appello ha errato laddove, a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l'ipotesi - formulata dai consulenti d'ufficio - che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza e non "avesse avuto problemi, anche perché al mattino le condizioni cliniche erano stabili".

Tali conclusioni meritano censura sia sotto il profilo del vizio motivazionale che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell'onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica.

Non può sfuggire, infatti, l'irriducibile antinomia esistente fra la constatazione della carenza delle annotazioni e l'affermazione dell'ipotesi che - ciononostante - la neonata fosse stata ben monitorata. Infatti, tale conclusione è contraria alle effettive risultanze documentali e vìola il criterio secondo cui l'imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anziché per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile), traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all'esattezza del proprio adempimento.

Il medico ha l’obbligo di controllare la completezza e l’esattezza del contenuto della cartella, la cui violazione configura difetto di diligenza ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c. ed inesatto adempimento della corrispondente prestazione medica. La Corte, inoltre, ha rilevato che “nella incompletezza della cartella clinica – che è obbligo del sanitario tenere in modo adeguato – rinviene proprio, in considerazione anche del principio della prossimità della prova, il presupposto perché scatti la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso sia astrattamente idonea a cagionare il danno.